mercoledì 28 agosto 2013

Vi racconto una storia

Casa dei miei genitori d'estate diventa il ritrovo della famiglia mia tutta. Prima Ciccio, poi mia sorella, adesso invece è la volta di mio fratello e consorte.
Certo, è una gran rottura di coglioni essere svegliata alle sei del mattino o nel cuore della notte dal nipotino di turno. Così come non è affatto simpatico dover condividere per due settimane la stanza con il nipote quattordicenne (specie se il nipote quattordicenne passa tutto il tempo ad architettare scherzi di dubbio gusto e ti fa rischiare ogni volta l'infarto).

Alla fine però, avevo proprio bisogno di vivermi la mia famiglia senza cazzi né mazzi, godermeli mentre sono tutti belli felici e rilassati in vacanza.
Purtroppo, ahimè, io lavoro adesso. Non riesco a trascorrere molto tempo con loro, ma quando capita, ne sono davvero felice.

L'altro giorno eravamo tutti a tavola: io, i miei genitori, mio fratello, mia cognata e Ciccio.
Ad un certo punto, non so per quali strane associazioni mentali, mi viene in mente questo divertente episodio risalente a tanti anni fa.

Guardo mio fratello e gli dico: "Oh, ma te la ricordi la storia del fantasma?"
"La storia del?"
"La storia del fantasma!Io avevo quattro anni!"
"Ah cazzo, sì!"

E iniziamo a ridere come pazzi.
Ecco, questa storia la voglio condividere con voi. Godetevela.

Allora, mettetevi comodi, prendete una coperta e infilatevici dentro.
Fa troppo caldo?
E allora andate in Lapponia/accendete l'aria condizionata/buttatevi nel frigorifero. Insomma state al freddo e copritevi con 'sta cazzo di coperta, altrimenti non c'è atmosfera
Niente luce.
Tanto vi basta quella del pc.

Siete pronti?

Bene, ecco a voi:

"Mio fratello e il fantasma del natale passato" (scritto da LiLLy, performed by mio fratello)

Allora, tutto incomincia da me. Che io ho sempre avuto questa mania dell'essere indipendente.
Mania che da bambina si traduceva con l'esigenza di crearmi uno spazio tutto mio. Condividendo all'epoca la stanza con mia sorella, questo mio desiderio era difficilmente concretizzabile.
Sicché mi venne la mania delle tende.
Volevo una tenda mia e starci dentro da sola, per i cazzi miei.

"Mamma me la prendi una tenda?"
"Ma che te ne fai di una tenda che non andiamo manco in campeggio noi?"
"La uso qui"
"Ma se non abbiamo nemmeno il giardino!"
"Qui, la metto qui, in salotto"
"Ma per favore..."

Capii che la tenda me la dovevo costruire da sola.
Mi serviva un oggetto lungo, tipo un bastone che però rimanesse in piedi da solo. Poi mi sarebbe bastato buttarci sopra un lenzuolo e la tenda sarebbe stata bella che fatta.
O almeno, questo era quello che pensavo io.
All'epoca non avevo alcuna, seppur minima nozione, non dico di architettura di base, ma proprio di geometria.
"Adesso ce le avrai no 'ste nozioni di base, no?"
Adesso 'sto combinata peggio di prima.
Ad ogni modo, volevo costruirmi una tenda e in casa non trovavo un oggetto adatto all'uopo.

Beh. Arriva Natale e qualcuno mi regala questo stupendissimo giocattolo, molto in voga negli anni '80 tra noi bambine, l'antenato del "Canta Tu" (e qui volevo mettervi il link con la foto. Peccato che non ho trovato nulla in tutto il web. Quando capisco che anche internet ha dei limiti mi sento male. Comunque si trattava di un microfono, con asta e un piccolo amplificatore che aveva un tasto a forma di stella per regolare il volume. Se qualcuno dovesse per caso sapere come si chiama ne sarei stra felice).
Quando vidi il mio regalo, microfono e amplificatore proprio non me li sono cagati di striscio. Un solo elemento attirava la mia attenzione: l'asta.
Finalmente potevo costruire la mia tenda.

Andai da mia mamma e mi feci dare un vecchio lenzuolo bianco, lo misi in cima all'asta e piazzai la mia tenda nel corridoio che dall'entrata di casa portava in salotto.
Certo, io mi immaginavo una roba un po' diversa. Tipo che in tenda ci potevo giocare, farci la merenda, invitarci gli amici.
In realtà la superficie calpestabile sarà stata di tre centimetri quadrati e starci dentro dava più la sensazione di essere avvolti in un sudario. Io però avevo la MIA tenda e mi sentivo la bambina più felice sulla faccia della terra.
Questa gioia infinita ebbe vita molto breve purtroppo.

Quella notte accadde l'irrimediabile.
Mio fratello tornò a casa molto tardi.
Probabilmente aveva alzato il gomito. E anche tanto.
Lui non ha mai fatto cenno alcuno all'alcool, ma non può esserci altra spiegazione logica.
Davvero, non esiste.
Beh.
Arriva a casa.
Entra.
Fa qualche passo nel corridoio.
E di punto in bianco cosa si trova a pochi centimetri dal suo naso?
La mia tenda, o meglio, a detta sua: "Un lenzuolo bianco, molto sinistro, sospeso in aria come per magia".
E secondo voi quale pensiero gli è balenato per la testa in quel momento?
"Oh mio dio, fammi capire bene che cazzo è 'sta roba che mi trovo davanti"?
"Oh mio dio, la devo smettere di bere"?
No, macché.
Lui ha pensato "E sticazzi, un fantasma!!!!!"
Ne seguì una scena degna della peggiore pellicola horror, low cost di tutta la storia del cinema. Altroché "Paranormal Activity".
Con il terrore dipinto negli occhi, quella povera anima di mio fratello, non s'arrese  al suo triste destino ma reagì.
E iniziò a prendere a calci il fantasma.
O meglio, iniziò a prendere a calci la mia tenda.
Quando si accorse che il materiale che si trovava davanti non era poltergeist ma un fottutissimo lenzuolo su cui era avvolta l'asta del microfono-giocattolo di sua sorella quattrenne, ormai il gioco era fatto.
L'asta era spaccata in due.
Sicché l'idiota, resosi finalmente conto di quanto fosse idiota, decise di far sparire il corpo del reato e se ne andò a dormire.

Il mattino seguente, io ero felicissima e non vedevo l'ora di buttarmi dentro la mia tenda.
Immaginate la mia faccia quando arrivata in corridoio vedo l'amplificatore, il microfono, ma non la tenda.

Il pomeriggio, quando finalmente l'idiota, dopo la notte brava a base di alcool e lotte con i fantasmi, si alzò dal letto e ci degnò della sua presenza, avvenne la confessione:
"Scusami, mi devi scusare tantissimo. L'asta del microfono te l'ho rotta io. l'ho dovuta buttare L'ho presa a calci per sbaglio"
"L'hai presa a calci per sbaglio?"
"Pensavo fosse un fantasma"
"Un fantasma???"
"Mi sono spaventato tantissimo"

Una bambina che si sente dire così dal fratello diciannovenne cosa deve pensare?
"In che cazzo di famiglia sono finita?"
"C'è un numero verde preciso da chiamare in questi casi?"
"Se mio fratello vede i fantasmi, mia sorella vola sui mini-pony?"
"In 'sta cazzo di casa non puoi fare niente, manco tenere una merda di tenda in corridoio"?

No, a me quella storia mi fece schiattare dalle risate.

E finì tutto bene, con mio fratello che mi prometteva di ricomprarmi un microfono nuovo il prima possibile.
Siccome però mò sono 25 anni che aspetto, a questo punto sarei proprio curiosa di ripetere l'esperienza, riprendere il tutto e metterlo su youtube.

Muahahahahaha!!!!

Morale della storia: larga la foglia, stretta la via, se vedi un fantasma controllati l'alcolemia

P.S.: Ma la cosa più divertente di tutte sapete qual è? Che alla fine in una tenda vera e proprio non ci sono mai stata, ci credete?

martedì 20 agosto 2013

Ma che problema hanno certe ginecologhe?

Visto che nel post precedente si parlava di medici e maternità, ho deciso di rimanere in tema, stavolta parlando di ginecologhe e vagine.

Ogni volta che ho una visita ginecologica, non so bene perché, mi viene l'ansia.
Anzi, il perché lo so.
Perché certe ginecologhe sono quanto di più disumano esista dopo gli uomini meccanici del "Galaxy express 999".

La peggiore l'ho incontrata a 23 anni. Era la ginecologa di mia cognata. Da lei era stata definita come una: "Molto precisa, puntigliosa. Ma soprattutto in gamba"

Beh. Più o meno è andata così.

"Allora, mi raccomando, mi devi dire tutte le malattie che hai avuto"
Rispondo.
"Esaurimenti nervosi?"
Vorrei chiederle l'esatta definizione medica di "esaurimento nervoso". Comunque rispondo.
"E adesso parliamo un po' della tua vita sessuale.Hai un partner fisso? Usi anticoncezionali?"
Rispondo
"Hai mai avuto rapporti occasionali non protetti?"
Rispondo.
"Età della prima volta?"
È un po imbarazzante, ma rispondo.
"Con quanti ragazzi hai avuto rapporti sessuali?"
"No, scusi, devo rispondere per forza?"
"Non sai con quanti ragazzi hai avuto rapporti sessuali? Alla tua età è preoccupante"
"Già, è preoccupante. Io comunque non mi ricordo"
Certo che lo sapevo. La domanda però, per me, non era pertinente.
Insomma, ai fini della mia salute che cazzo te ne frega a te di sapere con quante persone sono stata?
Avrei potuto avere rapporti con centinaia di ragazzi diversi usando sempre il preservativo. E potrei averne avuto anche uno solo, non protetto, con un ragazzo soltanto. Nel primo caso potevo stare tranquilla, nel secondo no.
E comunque sono cazzi miei e non ti devi permettere di esprimere giudizi di valore a riguardo.

"Cosa fai? Studi? Lavori"
"Studio e lavoro"
"Per forza che poi ti viene la candida. Vai all'università, mangerai sicuramente panini che contengono lieviti tutti i giorni. I lieviti favoriscono la candida, lo sai?"
Vorrei rispondere che io non frequento i corsi all'università e che mangio solo a casa, il problema è che le sue sono solo affermazioni e non domande.
"Poi sai, vai in palestra e per fare presto usi il docciaschiuma anche come detergente intimo, si fa in fretta a prendersi infezioni"
Vorrei dirle che io in palestra non ci vado. Che di cazzate ne combino tante e tutti i giorni, ma quella di usare il docciaschiuma al posto del detergente intimo, proprio no. A lungo andare mi irrita quanto la carta abrasiva.
Ma tanto lei non chiede.

"E adesso spogliati"
come sai fare tu, ma non illuderti, io non ci casco più...
Mi spoglio e intanto che mi sto levando gli slip, sento quella pazza che grida
"AAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHH, che razza di mutande indossi?"
No, cioè, avevo evitato qualsiasi mutanda che potesse destare, anche solo vagamente imbarazzo.
Niente cuoricini, animaletti strani e scritte anomale.
"Che hanno le mie mutande?"
"Sono nere, dio santo, nere!Le mutande colorate contengono mordenti e i mordenti non vanno bene per la salute della vagina!"
"Ma io non lo sapevo!"
Finita la visita ginecologica mi dice che vuole passare al seno.
Faccio per levarmi il reggiseno e...
"AAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHH, il ferretto! Ventitre anni e usi già il ferretto, ma sei pazza? Hai paura che ti cascano a terra?"
Ho paura che mi cascano a terra da quando ho 13 anni idiota d'un'idiota.
Poi mi acchiappa le tette in mano e inizia a sbatterle con una violenza inaudita. Roba che nemmeno certi miei indelicati ex sarebbero arrivati a tanto.
Quella volta ci rimasi proprio di merda.

Oggi avevo il pap test, perché qui in Emilia Romagna, a differenza che in Lombardia, te lo fanno di screening.
A me la lettera di richiamo per andare a fare l'esame non è arrivata, in quanto sono residente qui da pochi mesi. È stato il medico di base a farmi l'impegnativa per prenotare.
E così ho avuto modo di conoscere Miss simpatia.

"Buongiorno, sono qui per il pap test"
"Si, prego. Si accomodi. Si è attenuta a quanto scritto nella lettera?"
Io non sapevo della lettera e rispondo assumendo un'espressione interrogativa.
"Non l'ha neanche letta la lettera, vero?"
E con quel -non l'ha neanche letta-  prononuciato con quell'espressione di sufficienza cosa mi stai dicendo? Che sono un'ignorante? Una superficiale? Una sprovveduta?
Una volta chiarito l'ecquivoco mi invita a spogliarmi.
"Si infili i calzari sulle scarpe per favore"
"I calzari?"
"Si quei calzini di plastica che vede lì sulla destra, in che modo devo esprimermi per farmi capire?"
"Ma io non sto indossando le scarpe in questo momento"
"E allora se le infili sui piedi. Se permette non è piacevole per me avere i piedi della gente in faccia"
"Signora, che sia spiacevole avere i piedi in faccia della gente non lo metto in dubbio. Solo che è la prima volta che durante una visita ginecologica mi viene chiesto di indossare i calzari, ho fatto confusione"
"Si appoggi proprio lì, sulla sponda del lettino"
"Così?"
"No, più in fondo. Insomma, non è la prima volta che lo fa, dovrebbe saperlo" 
Il tutto pronunciato con voce calma e tranquilla con quella cazzo di espressione di sufficienza in faccia.
Subito dopo, le avrei voluto far presente che, non essendo la situazione particolarmente eccitante, e sentendomi io piuttosto tesa, forse un po' di delicatezza sarebbe stata indicata. Dopotutto lei era donna e ginecologa allo stesso tempo, avrebbe dovuto saperlo.

Ecco, io vorrei solo far presente una cosa.
Lavoro a contatto con il pubblico da quando avevo quindici anni.
Se io avessi trattato i miei clienti così come questi due esempi di umanità trattano i loro pazienti, mi avrebbero rispedito a casa a calci nel culo.
Non si possono trattare i pazienti come se fossero un intero branco di scemuniti.
Non si guardano le persone dall'alto in basso.

E soprattutto bisognerebbe cercare di mettere le persone a proprio agio.
Io cerco di farlo sempre, a maggiore ragione dovrebbe farlo una che ti deve infilare una roba nella vagina per poi dirti se magari hai un tumore o no.
Che poi, per mettere le persone a proprio agio non ci vuole uno studio, non ci vuole una procedura. La laurea in medicina non aiuta.
Basta solo un po' di buon senso e un po' d'attenzione.
E magari anche scendere dal piedistallo non sarebbe male.

lunedì 19 agosto 2013

Jacqueline

La mia mamma scoprì di essere incinta di me all'ottavo mese di gravidanza.
Oddio, parlare di ottavo mese forse è un po' esagerato, in realtà erano sette mesi e tre settimane.
Sì, mia mamma ha avuto le mestruazioni per tutta la gravidanza (per dovere d'informazione, in gravidanza non si hanno vere e proprie mestruazioni, ma finte mestruazioni. Per ulteriori approfondimenti guardate "Non sapevo di essere incinta" su Real Time che non c'ho voglia di spiegarvi tutta la pappardella)
No, non aveva il pancione. E che cazzo, altrimenti se ne sarebbe accorta.
Io ero posizionata molto, molto in alto. Sotto il fegato.
Organo che su di me ha avuto un certo ascendente, infatti in alcuni periodi della mia vita me lo sono quasi giocato a botte di Tennent's e limoncello.

In realtà mia madre aveva capito che c'era qualcosa che non andava, già quando era intorno al quarto-quinto mese.
Il suo medico di allora non capì.
Prima le diagnosticò un disturbo, poi un altro e la riempì di farmaci che in gravidanza non dovrebbero essere visti manco con il binocolo.
"LiLLy, ma non ti avranno fatto male tutte quelle sostanze tossiche?"
Probabilmente sì. Al cervello credo.
Beh. Per un po' sono passata inosservata.
Poi un giorno, quel fatidico giorno d'aprile, durante l'ennesima visita, al medico di mia madre viene questa brillantissima idea.
Quella di provare a tastarle l'addome.
E la spedisce immediatamente al pronto soccorso perché sente il fegato ingrossato a dismisura.
Arrivata all'ospedale a mia mamma viene prima diagnosticata una cirrosi epatica.
Poi, dopo un'attenta palpazione si accorgono che non v'è cirrosi alcuna, ma che c'è una massa di almeno due chili, due chili e mezzo sotto il fegato.
Diagnosi: tumore in stadio avanzato.

"Signora, vogliamo essere franchi con lei, a questo livello le dico subito che è impossibile intervenire, sia con un'operazione che con la chemioterapia, qui non c'è più niente da fare"

A mia madre e a mio padre, di punto in bianco viene completamente sconvolta l'esistenza.

In quell'esatto momento mentre il medico numero uno continua a parlare c'è un medico numero due che cammina su e giù per la stanza. Sembra nervoso. Dice che vorrebbe fare un'ecografia e continua a ripeterlo finché non convince anche il medico numero uno.

E così, una volta fatto l'esame, si accorgono che quella roba di due chili e mezzo che stava sotto il fegato non era un tumore. Era una bambina. Ero io.

Mia mamma esce fuori dalla stanza dell'eco urlando: "Siete dei pazzi! Io, incinta? Ma se m'avete appena detto che ho un tumore!"

Mio padre, in sala d'attesa, sente le urla di mia madre che gli sta andando incontro. Lì, per lì non capisce, d'altra parte, pover'uomo, aveva la testa invasa da mille pensieri.
Un medico va da lui:

"Lei è il marito della signora ?"
Mio padre: "Sì, sono io, cosa sta succedendo?"
Medico: "Congratulazioni!"
La parola "congratulazioni", detta ad un uomo che aveva appena saputo che alla moglie rimaneva si e no un mese di vita, forse suonò un filino fuori luogo a mio padre.
Preso da un attacco di furore si mise a gridare e ad insultare tutti.
Ci volle un bel po' per chiarire l'ecquivoco e per calmarlo. E comunque, quando i miei genitori se ne andarono dall'ospedale non sapevano nemmeno loro che pensare.
Tumore o bambina?
Bambina o tumore?
Dall'ecografia non si capiva un cazzo.

Il giorno seguente mia madre decise di andare in un'altra clinica per chiedere un nuovo parere.
E la gravidanza fu confermata anche lì.
La sera stessa, non appena mio padre varcò la soglia di casa e vide mia madre in vestaglia, si accorse che c'era una cosa che prima non si vedeva: la pancia. Non era un pancione enorme, ma c'era.
Ebbene sì, dopo tutto 'sto bordello decisi che era arrivato il momento di fare outing, lasciai il mio nascondiglio sicuro e mi palesai sotto gli occhi di tutti.

Il mio prossimo arrivo colse tutti impreparati.
"E mò che nome le diamo?" chiese mio padre, che da buon terrone aveva già provveduto a chiamare mio fratello e mia sorella con i nomi dei suoi genitori. Due nomi abbastanza lunghi, elaborati.
(apro una parentesi, e basta con 'sta storia di chiamare i figli con i nomi dei nonni, al paese mio ce n'erano tre con lo stesso nome e e cognome di mio padre e tre con lo stesso nome e cognome di mio nonno, avete idea della confusione e dei malintesi?)
Mia madre decise che voleva un nome breve, preciso, conciso e soprattutto nuovo.
Qualcuno, ancora oggi dopo 29 anni non ho capito di preciso chi, ha tirato fuori il nome Lisa. E Lisa fu.

Breve e preciso.
Peccato che il nome Lisa si confonda molto facilmente con Ida, Isa, Luisa, Annalisa, Elisabetta, ma soprattutto con Elisa.
E che per molti non è nemmeno considerato un nome vero e proprio.


"Mi ripete il suo nome, per favore?"
"Lisa, con la L di Livorno"
"Diminutivo di? Annalisa per caso?"
"Diminutivo di niente, Lisa e basta"
"Guardi che questo è un documento ufficiale, mi deve dire il nome che c'è sulla carta d'identità"
"E sulla carta d'identità c'è scritto Lisa"
"Ne è sicura?"
Ma vaffanculo

"Ma il tuo nome vero qual è?'"
"Lisa"
"Ma sei sicura?'"
"Ma ti pare che non so come mi chiamo?"
"Sarà mica un nome Lisa! Lisa è un diminutivo. Non c'è nemmeno la santa sul calendario"
"Mi faccio beatificare io, va bene?"

"Ciao Elisa!"
"Ciao, io però non mi chiamo Elisa, mi chiamo Lisa, senza la E"
"Lisa?"
"Leggo del turbamento nei tuoi occhi, che c'è?"
"Ma esiste anche Lisa come nome"?
"E sticazzi che esiste. C'è la canzone, c'è Lisa Simpson, c'è la Monna Lisa, cristo santissimo. Poi uno sarà libero di chiamare i figli come cazzo vuole, no? Pensa a Totti e alla Blasi..."
"Beh ma Lisa è un soprannome, non un nome. Posso chiamarti Elisa? No, perché Lisa proprio non mi viene..."

Ed è sempre stato così. A scuola gli insegnanti mi chiamavano sempre per cognome. Qualcuno già alle elementari.
Ogni volta che finisco in un ambiente di lavoro nuovo poi è un disastro.
Come adesso al ristorante.
L'aiutocuoco insiste col chiamarmi Elisa. La mia capa Annalisa. Il cameriere ultrasessantenne non mi chiama proprio. Dice che il mio nome non gli viene, sicché ogni volta se ne viene fuori con uno diverso.

"Senti, facciamo così, se Lisa non ti viene, concordiamo un nome nuovo insieme, ti va?"
"Margherita ti piace?"
"Margherita? Troppo classico. E poi magari il pizzaiolo si confonde. Tu mi chiami e quello dopo cinque minuti ti sforna la pizza, ma va là"
"Giulia?"
"Giulia? È carino. Ma è troppo comune"
"Francesca?"
"Idem, troppo comune. E sii un po' creativo suvvia..."
"Jacqueline ti piace?"

E così sono diventata Jacqueline.
Jackye per i clienti affezionati.
Jack per i colleghi quando hanno fretta.
Mi dicono tutti che mi cade proprio a pennello. Sa il cazzo perché.
Io l'ho scelto per un solo motivo, i Franz Ferdinand.




P.s. La storia che sono stata scambiata per un tumore sembra una barzelletta ma è verissima, ho documenti che lo provano (uno l'avevo postato nel primo post del blog, quando era riemerso tra milioni di altri documenti durante il trasloco). Un giornalista all'epoca andò da mio padre perché voleva scriverci un articolo di giornale. Mio padre però, che come me è una persona di classe e di finezza infinita, l'ha mandato affanculo. Peccato.

giovedì 8 agosto 2013

Lascia che sia

Me lo state ripetendo tutti. Me lo dicono anche i miei amici più cari. E usando parole diverse me lo sta dicendo anche lui.
Su, su che vi siete messi tutti d'accordo, ammettetelo.

A 'sto punto m'aspetto solo che quella santa donna di mia madre viene da me e con parole sagge mi dice: "LiLLy let it be"

Lascia che sia.
Tre parole e una grande lezione di vita.
Perfino i nostri governanti, nella loro infinita saggezza, quando si tratta di lavoro e disoccupazione, adottano questo principio.
Lascia che sia.
Tanto è scritto nell'ordine cosmico delle cose che noi, poveri precari e disoccupati, prima o poi una sistemazione la troveremo. 
Io all'alba della menopausa, sotto i ponti, voi non so. Spero siate più fortunati di me.
(Azz, il ponte lo posso scegliere però, vero? No perché non so se optare per i Navigli o se stare qui in Romagna. Ad ogni modo, farò la stessa fine di Cenerentola che parla con le pantegane, che figata)

Lascia che sia.

Ci sto provando, mi ci sto applicando con tutta me stessa.
L'altra mattina mi è arrivato un messaggio.
Colpo dritto al cuore.
Mi sono detta: "LiLLy, calmati. Lascia che sia"
Così mi sono lasciata andare.
E ho pianto.
Un bel pianto alle sei e mezza del mattino, quando sai che poi alle nove ti devi alzare e spararti le tue 12 ore di intenso lavoro.
Finito il pianto, ho deciso di optare per la strategia del: "Adesso esco e vado col primo che incontro".
Passato il momento di delirio mi sono calmata. Anche perché alle sei e mezza del mattino avrei potuto beccare solo mio padre che bagnava le piante di pomodoro.
E ho pianto ancora.

Poi mi è venuta questa strana idea di rileggere il messaggio che mi è stato mandato
E mi sono accorta che avevo letto male e non avevo capito un cazzo di quello che c'era scritto.

Lascia che sia.

Mi asciugo le lacrime, mi calmo e cerco di dormire un po'.
Quando, dopo quasi due ore, sto per addormentarmi sento questa vocina che proviene dalla cucina.
Sapevo che quella notte sarebbe arrivata mia sorella con famiglia a seguito.
Non sapevo che si sarebbe portata dietro il pargolo di un anno e mezzo, il figlio di mia nipote, il mio pro nipotino (un giorno, qui a fianco, tra il mio profilo e lo scaffale dei libri, ci piazzerò anche l'albero genealogico della mia famiglia, magari ci capirete qualcosa.. E forse finalmente ci capirò qualcosa pure io)

"Nonnoooooooooooooo, Nonnnnoooooooooooooo Beeeeeeeeeebe, beeeeeeebe". Il tutto urlato sopra una soglia che superava di gran lunga i decibel previsti nei termini di legge.
Chiamava mio padre perché voleva il biberon, ma mio padre ovviamente non capiva un cazzo.

Così, ho aspettato ancora un po' e alla fine mi sono alzata.
Io che quella notte avevo dormito un'ora e mezza. Io che mi dovevo sparare dodici ore al lavoro. Che mi sono svegliata alle sei e mezza e ho pianto.
Mi sono alzata e sono andata al lavoro.
Giusto il tempo di tenermi un pochino in braccio il pro nipotino urlante, fare ciao-ciao al resto della tribù e sono scappata via.

Lascia che sia.

Al lavoro giornata da delirio. La sera un anziano signore mi è quasi svenuto sotto il naso e abbiamo dovuto chiamare l'ambulanza.
"C'è per caso un medico in sala?"
"Ah, LiLLy, non lo so. Vai a prendere i bicchieri per il 38"
Già.
Mi raccomando, che i clienti siano abbeverati, se poi ci schiattano sotto gli occhi chi se ne frega.

Lascia che sia.

Mezz'ora dopo, mi vedo questo tizio che spintona violentemente una ragazza che era seduta a mangiare con lui.
Io ho la forza ed il vigore fisico di una pulce azzoppata con i reumatismi, non sapevo come intervenire.
E mentre correvo incontro al troglodita senza sapere bene nemmeno io cosa cazzo stessi facendo, è uscito il mio capo e si è messo in mezzo lui.

Lascia che sia

Più tardi ancora:
"LiLLy porta l'acqua al 50. In una ciotola però"
"Che?"
"Qualcuno se n'è andato e ha lasciato il cane"
In quel momento, il cane, l'ho visto solo di sfuggita, era lì, legato ad un tavolo, che si guardava intorno un po' spaurito.
Mi si è strizzato il cuore.
Stavo già pensando di chiamare i miei perché me lo volevo portare a casa.
Quando sono arrivata con la ciotola il cane non c'era più. Erano venuti a riprenderselo. Che, come cazzo si fa a dimenticarsi un cane qualcuno me lo deve dire perché io davvero non lo so.

Lascia che sia.

E intanto che tornavo a casa all'una di notte, stanca e sfatta, ho capito due cose.
La prima è che col caldo la gente esce fuori di testa.
La seconda è che doveva andare così.
Quest'estate mi sta portando al limite.
Qualcosa ne verrà fuori.

sabato 3 agosto 2013

Malinconia

Altro che Polase e Multicentrum, qualcuno ha mica una pillolina contro quella forma di malinconia chiamata: "L'altro ieri ho passato una serata meravigliosa, di quelle che mi ricorderò per tutta la vita, sa dio quando succederà ancora, sa dio come andrà a finire 'sta cosa, non so nemmeno dove mi troverò tra un paio di mesi e che sarà della mia vita"
Ce l'avete?
Ecco, mandatemene una confezione formato famiglia, anzi due, a:

LiLLy Yeah, Repubblica Democratica di LiLLyLandia, secondo ombrellone a destra, dillo al postino, e poi dritti fino al mattino. C.A.P 48122.

Tranquilli che pago in anticipo, tanto adesso che sto lavorando sono ricca e in qualche modo dovrò pur sputtanarmi i soldi.
Se c'avete anche un po' di alcool che v'avanza in casa, mandate pure quello.
Mi raccomando. Che le pilloline siano buone, grazie.


"C'è un amore che non muore mai, più lontano degli dei, a sapervelo spiegare che filosofo sarei"

 (Baustelle-Gli spietati)