Con quel grigiume che spesso mi assale credo che dovrò farci i conti per tutta la vita.
No, non se ne andrà mai.
Potrò forse dargli un senso, magari scriverci su qualcosa.
-Cinquanta sfumature di grigio by LiLLy-. Che ne dite?
"LiLLy Non vorrai mica propopinarci il tuo personalissimo elogio al grigiume? Perché guarda che già c'è crisi, le tasse aumentano e tu ci stai facendo ancora due maroni così..."
Ma no ragazzi, state pure tranquilli.
Non voglio tediarvi con le mie cinquanta sfumature di grigio.
Anche perché temo siano molte di più e io non voglio intasare la rete.
No, sono qui per raccontarvi di questa strana fase di transizione che sto attraversando in questa mia anomala vita.
"Ecco, lo sapevamo. Ma come te lo dobbiamo dire? LiLLy. I maroni. Hai presente le mongolfiere? Ecco quindi per favore..."
Ma che cazzo, ma mi volete lasciar scrivere?
Oggi sono qui per lanciare in questo mare virtuale, la bottiglietta contenente il mio personalissimo messaggio di speranza, gioia e fratellanza
"Oh LiLLy, finalmente! Che bello sentirti così gioiosa e propositiva! (In realtà sembri tutto tranne che gioiosa e propositiva, comunque noi crediamo in te. Avanti srotola il foglietto e leggi il tuo messaggio)"
Ok, ok, leggo subito.
Una sera di tanto tempo fa, mentre chiacchieravo amabilmente con una mia amica e con il tipo che tanto mi piaceva allora, mi saltò l'otturazione di un molare destro. Arcata superiore.
Mi rifiutai categoricamente di andare dal dentista e, mesi dopo, durante una terribile, afosa e caldissima notte d'agosto, la carie si trasformò in pulpite. Avete presente quando si infiamma la polpa del dente e vi vengono dei dolori atrocissimi? Ecco.
"LiLLy, perdonaci, ma che cazzo di messaggio gioioso e speranzoso è mai questo?
(Ma davvero ti è saltata un'otturazione davanti al tipo che ti piaceva? E tu cos'hai fatto? Racconta, racconta!)
E che dovevo fare? L'istinto sarebbe stato quello di sputazzare l'otturazione sul palmo della mano per fare una prima constatazione dei danni.
Per fortuna mi sono contenuta. Ho evitato di fare smorfie strane e sono scappata in bagno con molta nonchalance.
Comunque.
Torniamo a quella terribile notte d'agosto.
La mattina decisi di prendere appuntamento dal dentista. Che ovviamente era in ferie.
Insieme a tutti gli altri dentisti della Lombardia. Forse c'era un convegno importante a Milano Marittima, chissà.
Io intanto soffrivo come una bestia e non sapevo dove sbattere la testa.
Ma di motivi per non farlo ce ne sarebbero stati milioni.
Che sì facendo avrei potuto far saltare altre otturazioni.
E certo un gran numero di preziosi, dei miei già pochi, neuroni.
E sticazzi. Mi sento un incrocio tra Dante Alighieri e Fabri Fibra.
Ad ogni modo.
Qualcuno mi consigliò di andare allo stomatologico di Milano, ma all'epoca ero molto più coglionazza di adesso e la parola stomatologico mi faceva venire il voltastomaco. E non ci andai.
Passai altri due giorni e altre due notti d'inferno. Mi drogai letteralmente di antidolorifici e, nonostante questo, il dolore non si placò affatto.
Finché, la mattina del quarto giorno, un piccolo centro dentistico nei pressi di Como tirò su la serranda.
Mi ci precipitai di corsa.
Subito dopo l'anestesia, il dolore scomparì all'istante e in quel momento capii che "Nirvana" non era solo il nome di un gruppo che mi piaceva un sacco, ma era anche uno stato dell'essere.
Una volta concluso il lavoro dal dentista andai a casa e lì volevo fare solo una cosa: dormire.
Il fatto è che prima dell'anestesia ero solo una povera creatura dolorante.
Dopo l'anestesia ero ancora una povera creatura che, seppur non dolorante, aveva dormite forse dieci minuti nelle precedenti sessanta ore.
E che, ricordiamo, aveva appena raggiunto il Nirvana.
Mi buttai tra le coperte che sembravo strafatta di Lsd.
Avevo sofferto così tanto prima dell'anestesia che l'assenza di dolore mi mandava in estasi.
Volevo dormire e non riuscivo a dormire perché ero troppo contenta. Contenta per l'assenza di dolore, perché fuori c'era il sole, perché le mie lenzuola erano liscissime e profumavano di ammorbidente.
Rischiai il tracollo psichico. Mia mamma allora mi disse che avevo proprio gli occhi spiritati, ma vi rendete conto?
"Bene LiLLy, molto interessate. Noi ti abbiamo ascoltato, tu però ci fai un favore? Il messaggio di speranza...non è che potresti tenertelo per te?"
E no eh. Adesso mi fate finire, va bene?
Il mio messaggio di speranza è questo: "Se mai vi dovesse saltare un'otturazione, andate subito dal dentista"
"LiLLy, questo messaggio di speranza fa cagare!"
Ok, va bene.
Erase and rewind.
Il mio messaggio di speranza è questo: "Adesso mi sento proprio come in quel pomeriggio d'agosto. Sono felice perché ho trovato una cura per il dolore ma ahimè, la pace è ancora molto, molto lontana. Ci vorrà molto tempo prima che io riesca a raccogliere qualche frutto. Eppure stavolta ci credo. Ci credo DAVVERO. Stavolta sono fiera di dirmelo, IO CE LA POSSO FARE!"
Spero solo di non avere gli occhi troppo spiritati
giovedì 16 gennaio 2014
giovedì 2 gennaio 2014
Arrivata a questo punto posso solo sperare di trovare dio
(Titolo inutilmente pomposo e pretenzioso. Non mi veniva in mente altro però)
La ragazza che ho visto poco prima mi rivolge all'improvviso la parola: "Scusa!"
Mi coglie alla sprovvista e all'inizio non capisco se si stia rivolgendo proprio a me.
E a chi cazzo avrebbe potuto rivolgersi?
Accanto a lei ci sono solo io.
Il mio amico cammina distante da me, immerso anche lui nei suoi pensieri.
Mi giro e la guardo.
"Dimmi pure"
La ragazza ha i capelli rasati da una parte e lunghi dall'altra.
Un occhio leggermente più chiuso dell'altro.
Ed è sporca.
Sporca in viso, sulle mani, sul vestitino di lana rasa e sul giubbotto chiaro troppo leggero.
Mi ricorda uno spazzacamino.
"Non è che mi faresti accendere?"
Mi sorprendo a vedere che dalla labbra le penzola una cicca di sigaretta (o di canna?), talmente consumata che mi chiedo cosa ci possa tirar fuori da fumare ancora.
D'istinto mi viene da accenderglielo io, il moccino.
Ma è talmente corto che che ho paura di bruciarle il viso sicché le passo l'accendino.
E rimango così incantata a guardarla che mi dimentico di augurarle buon anno intanto che mi restituisce l'acccendino, mi saluta e se ne va.
Un quarto d'ora dopo infilo la mano in tasca e trovo il mio pacchetto di sigarette.
"Avrei anche potuto offrirgliene una, quanto sono cretina" .
È il primo di gennaio.
È mezzogiorno.
Io e il mio amico siamo appena usciti dall'albergo per raggiungere il centro.
Una volta in strada ci siamo accorti che non passavano gli autobus della nostra linea e così abbiamo deciso di spararci quei sette chilometri a piedi.
Io, il mio amico e le rotelle del mio trolley che facevano un baccano d'inferno mentre scorrevano sull'asfalto.
Ci godevamo una Bologna inondata di sole, mentre cambiava vestito da un chilometro all'altro.
I palazzoni di periferia anni '70, così grigi e così tristi.
Quartieri anonimi, dove gli unici sprazzi di colore erano dati dai -sempre troppo pochi- muri colorati con la vernice spray.
Strade intere senza un negozio, senza un centro, senza un punto di ritrovo.
Qualche area gioco. Sempre se di area gioco si piuò parlare: uno scivolo, un altalena buttata in mezzo a qualche prato sparuto.
Passiamo di fronte ad una scuola.
In giardino ci sono dei muri.
Sì, non sto scherzando. Un uno spazio dedicato al gioco dei bambini ci sono dei muri.
Anche se qualcuno li ha colorati disegnandoci sopra delle faccine sorridenti, cazzarola so' sempre muri.
Non ho la reflex, vorrei fare qualche foto con il telefono.
Ad un certo punto lo tiro pure fuori quando passo di fronte all'ennesimo palazzone situato accanto ad una cimeniera che butta fuori fumo anche durante quel primo giorno dell'anno nuovo.
Poi decido che non ho voglia ho voglia di fare foto e lo metto via.
Finiti i palazzoni, arrivano le palazzine.
E la città si trasforma in paese.
Palazzine piccole con annesso il giardino, l'orto, qualche gallina che razzola in cortile.
E parchi bagnati dalla luce della una.
"Guarda queste bacche! E guarda questi frutti!Avevi mai visto della roba del genere?"
Cazzo siamo a Bologna. Eppure queste piccole scoperte vegetali mi colpiscono manco stessi osservando qualche strana pianta in Madagascar.
Le bacche sono dei piccoli corni rossi che ricordano dei minuscoli peperoncini. I frutti sono palle grosse quanto mele, composte da tante piccole palline verdi.
"Lisa, mai, mai visto niente di simile.
E rimaniamo lì perlessi a guardare ancora per quache minuto.
Poi riprendiamo il nosro cammino.
Nell'aria si sente profumo di fritto, di pasta al forno. E di trippa.
Da una macchina scende una ragazza con un vassoio avvolto nella carta alimentare.
Chissà, forse sono tartine. O forse è pasta fresca. Magari preparata da lei stessa. O comprata nel pastificio di fiducia.
Magari. Io posso solo immaginare.
Sicuramente la aspetta un abbondante pranzo da amici o parenti.
Il primo dell'anno è un giorno sonnolento, raccolto, di festeggiamente stanchi e di sommessa rilassatezza. Di divani e chiacchiere.
Di affetti autentici.
Ma solo quando gli affetti sono davvero autentici e riescono a sopravvivere nonostante la noia e le abitudini. E la voglia di buttare addosso agli altri lo shifo e il grigiume che si ha dentro.
Io invece in questo primo giorno dell'anno sono in giro per Bologna, con la Torre Degli Asinelli che si staglia sullo sfondo, lì dopo il ponte, a ricordarmi che il centro si sta avvicinando.
Ripenso ai primi dell'anno degli ultimi anni e a quanto mi andasse stretta la vita di prima.
A quanto mi riempie di gioia questa passeggiata tra sole e miserie. Orti e profumi.
Ecco i portici.
Ecco il centro con tutti quei mattoncini rossi.
Il centro in cui ho vagato tutta la notte prima, da un bar all'altro, facendo il pieno di prosecchi e risate.
Ecco Piazza Maggiore, lì, la sera prima ero rimasta incantata ad ascoltare il suono di un carrilon mentre sulle facciate dei palazzi signorili venivano proiettate strane immagini di palline colorate che si muovevano. Pareva Candid Crash Saga.
Che cosa c'azzeccasse non l'ho mica capito.
Ma era davvero importante capire?
O forse era molto meglio perdersi in quel momento, nel suono di quel carrilon, nelle immagini di quelle palline colorate che mi rocordavano un fottutissimo gioco per pc?
Arriviamo in stazione, mangiamo qualcosa al volo e si torna a casa.
Mi aspetta un viaggio in treno che sarà una lotta continua tra il sonno che cerca di avere la meglio sul mio cervello e la mia voglia di leggere il terzo capitolo di "Mangia prega ama".
Saluto il mio amico.
Saluto Bologna con la speranza di rivederla presto.
E saluto questo 2014.
"...e speriamo che questo 2014 sia meglio dell'anno passato..."
"...Lisa mi piace concludere l'anno che stasera saluteremo con il pensiero alle cose che belle che senz'altro ti/ci sono successe...Si pretende sempre tanto dalla nostra vita, ma spesso ci dimentichiamo delle piccole meravigliose cose che ad esempio la tua macchina fotografica ha saputo cogliere con tanta poesia"
Buon 2014 a tutti i i carissimi affetti che questo 2013 mi ha regalato.
Buon anno a tutti voi.
La ragazza che ho visto poco prima mi rivolge all'improvviso la parola: "Scusa!"
Mi coglie alla sprovvista e all'inizio non capisco se si stia rivolgendo proprio a me.
E a chi cazzo avrebbe potuto rivolgersi?
Accanto a lei ci sono solo io.
Il mio amico cammina distante da me, immerso anche lui nei suoi pensieri.
Mi giro e la guardo.
"Dimmi pure"
La ragazza ha i capelli rasati da una parte e lunghi dall'altra.
Un occhio leggermente più chiuso dell'altro.
Ed è sporca.
Sporca in viso, sulle mani, sul vestitino di lana rasa e sul giubbotto chiaro troppo leggero.
Mi ricorda uno spazzacamino.
"Non è che mi faresti accendere?"
Mi sorprendo a vedere che dalla labbra le penzola una cicca di sigaretta (o di canna?), talmente consumata che mi chiedo cosa ci possa tirar fuori da fumare ancora.
D'istinto mi viene da accenderglielo io, il moccino.
Ma è talmente corto che che ho paura di bruciarle il viso sicché le passo l'accendino.
E rimango così incantata a guardarla che mi dimentico di augurarle buon anno intanto che mi restituisce l'acccendino, mi saluta e se ne va.
Un quarto d'ora dopo infilo la mano in tasca e trovo il mio pacchetto di sigarette.
"Avrei anche potuto offrirgliene una, quanto sono cretina" .
È il primo di gennaio.
È mezzogiorno.
Io e il mio amico siamo appena usciti dall'albergo per raggiungere il centro.
Una volta in strada ci siamo accorti che non passavano gli autobus della nostra linea e così abbiamo deciso di spararci quei sette chilometri a piedi.
Io, il mio amico e le rotelle del mio trolley che facevano un baccano d'inferno mentre scorrevano sull'asfalto.
Ci godevamo una Bologna inondata di sole, mentre cambiava vestito da un chilometro all'altro.
I palazzoni di periferia anni '70, così grigi e così tristi.
Quartieri anonimi, dove gli unici sprazzi di colore erano dati dai -sempre troppo pochi- muri colorati con la vernice spray.
Strade intere senza un negozio, senza un centro, senza un punto di ritrovo.
Qualche area gioco. Sempre se di area gioco si piuò parlare: uno scivolo, un altalena buttata in mezzo a qualche prato sparuto.
Passiamo di fronte ad una scuola.
In giardino ci sono dei muri.
Sì, non sto scherzando. Un uno spazio dedicato al gioco dei bambini ci sono dei muri.
Anche se qualcuno li ha colorati disegnandoci sopra delle faccine sorridenti, cazzarola so' sempre muri.
Non ho la reflex, vorrei fare qualche foto con il telefono.
Ad un certo punto lo tiro pure fuori quando passo di fronte all'ennesimo palazzone situato accanto ad una cimeniera che butta fuori fumo anche durante quel primo giorno dell'anno nuovo.
Poi decido che non ho voglia ho voglia di fare foto e lo metto via.
Finiti i palazzoni, arrivano le palazzine.
E la città si trasforma in paese.
Palazzine piccole con annesso il giardino, l'orto, qualche gallina che razzola in cortile.
E parchi bagnati dalla luce della una.
"Guarda queste bacche! E guarda questi frutti!Avevi mai visto della roba del genere?"
Cazzo siamo a Bologna. Eppure queste piccole scoperte vegetali mi colpiscono manco stessi osservando qualche strana pianta in Madagascar.
Le bacche sono dei piccoli corni rossi che ricordano dei minuscoli peperoncini. I frutti sono palle grosse quanto mele, composte da tante piccole palline verdi.
"Lisa, mai, mai visto niente di simile.
E rimaniamo lì perlessi a guardare ancora per quache minuto.
Poi riprendiamo il nosro cammino.
Nell'aria si sente profumo di fritto, di pasta al forno. E di trippa.
Da una macchina scende una ragazza con un vassoio avvolto nella carta alimentare.
Chissà, forse sono tartine. O forse è pasta fresca. Magari preparata da lei stessa. O comprata nel pastificio di fiducia.
Magari. Io posso solo immaginare.
Sicuramente la aspetta un abbondante pranzo da amici o parenti.
Il primo dell'anno è un giorno sonnolento, raccolto, di festeggiamente stanchi e di sommessa rilassatezza. Di divani e chiacchiere.
Di affetti autentici.
Ma solo quando gli affetti sono davvero autentici e riescono a sopravvivere nonostante la noia e le abitudini. E la voglia di buttare addosso agli altri lo shifo e il grigiume che si ha dentro.
Io invece in questo primo giorno dell'anno sono in giro per Bologna, con la Torre Degli Asinelli che si staglia sullo sfondo, lì dopo il ponte, a ricordarmi che il centro si sta avvicinando.
Ripenso ai primi dell'anno degli ultimi anni e a quanto mi andasse stretta la vita di prima.
A quanto mi riempie di gioia questa passeggiata tra sole e miserie. Orti e profumi.
Ecco i portici.
Ecco il centro con tutti quei mattoncini rossi.
Il centro in cui ho vagato tutta la notte prima, da un bar all'altro, facendo il pieno di prosecchi e risate.
Ecco Piazza Maggiore, lì, la sera prima ero rimasta incantata ad ascoltare il suono di un carrilon mentre sulle facciate dei palazzi signorili venivano proiettate strane immagini di palline colorate che si muovevano. Pareva Candid Crash Saga.
Che cosa c'azzeccasse non l'ho mica capito.
Ma era davvero importante capire?
O forse era molto meglio perdersi in quel momento, nel suono di quel carrilon, nelle immagini di quelle palline colorate che mi rocordavano un fottutissimo gioco per pc?
Arriviamo in stazione, mangiamo qualcosa al volo e si torna a casa.
Mi aspetta un viaggio in treno che sarà una lotta continua tra il sonno che cerca di avere la meglio sul mio cervello e la mia voglia di leggere il terzo capitolo di "Mangia prega ama".
Saluto il mio amico.
Saluto Bologna con la speranza di rivederla presto.
E saluto questo 2014.
"...e speriamo che questo 2014 sia meglio dell'anno passato..."
"...Lisa mi piace concludere l'anno che stasera saluteremo con il pensiero alle cose che belle che senz'altro ti/ci sono successe...Si pretende sempre tanto dalla nostra vita, ma spesso ci dimentichiamo delle piccole meravigliose cose che ad esempio la tua macchina fotografica ha saputo cogliere con tanta poesia"
Buon 2014 a tutti i i carissimi affetti che questo 2013 mi ha regalato.
Buon anno a tutti voi.
Iscriviti a:
Post (Atom)